Diverse figure bizzarre animavano un tempo le strade e le piazze del nostro paese, riferendo notizie, raccontando storie di vita vissuta, cronache e leggende e trasformando le loro narrazioni in patrimonio comune.
Una di esse è quella del banditore, il cui nome deriva dal termine “bando” – dal latino medievale bandum – termine che indica l’annuncio comunicato pubblicamente. Nei crocevia o fra i vicoli, a suon di cornetta di ottone o di tamburo, il banditore aveva infatti il compito di diffondere i bandi delle autorità (come le chiamate alle visite di leva), le ordinanze del Comune (per esempio quelle legate all’igiene pubblica: rinchiudere galline, maiali e capre ecc.) o gli annunci di collettiva utilità (la data di inizio del nuovo anno scolastico, i film in programmazione al cinema, le comunicazioni di interruzione dell’acqua nelle condotte); ma soprattutto pubblicizzava chiassosamente ai cittadini i prodotti che i vari commercianti, artigiani e negozianti mettevano in vendita secondo vere e proprie “promozioni” – dei consigli per gli acquisti dunque, i quali riecheggiano ancora oggi nelle orecchie dei brontesi più maturi. L’utile mestiere del banditore esisteva ancora nel corso del secolo passato e il suo modesto compenso veniva corrisposto dal Comune o dal singolo commerciante. Emblematica era a tal proposito la figura di Brasz Piattella, al secolo Biagio Conti:
Agli annunci seguivano sistematicamente le pernacchie dei ragazzini che lo circondavano; puntualmente la colorita risposta di Brasz Piattella era: “A buttana ri to mamma”. Personaggio singolare Biagio Conti, il quale ancora in vita aveva pensato bene di acquistare una cassa da morto per non essere imbrogliato sulla qualità e sul prezzo, l’aveva sistemata come catafalco in una stanza e ogni tanto la notte vi si recava a dormire per godersela – diceva lui – un tantino anche in vita. Con l’istruzione di massa, la scomparsa dell’analfabetismo e la diffusione dei mezzi di comunicazione moderni, la figura del banditore è andata definitivamente perduta. A noi che non abbiamo incontrato questo personaggio atipico non resta che il ricordo della sua presenza nella comunità brontese attraverso il racconto di chi lo ha conosciuto direttamente e ne ha apprezzato la funzione.
Quella del banditore non era l’epoca della cultura dei media e del web, che oggi propinano i fatti più clamorosi della cronaca mentre comodamente a tavola consumiamo i pasti o ci godiamo un momento di relax in solitudine. Era consueta invece la presenza in paese di qualche cuntastorie – soprattutto nelle domeniche più soleggiate, quando i brontesi si riversavano numerosi nei bar lungo il Corso Umberto. Il cantastorie ambulante giungeva presso il centro storico a bordo di un furgoncino e stazionava in uno dei piazzali principali: o chianu ru Rusariu oppure o chianu ra Batìa; qui si accomodava tirando fuori dei cartelloni che illustravano varie vicende e iniziava delle cantilene accompagnandosi con piccole chitarre ed altri comodi strumenti. Si trattava perlopiù di racconti di cronaca nera accaduti nei dintorni e che avevano destato scalpore, ben elaborati per colpire maggiormente il pubblico degli ascoltatori. La gente vi si disponeva attorno in semicerchio e lo ascoltava in silenzio, immedesimandosi nelle scene da lui illustrate e descritte verbalmente mentre venivano indicate passo passo con l’ausilio di una verga.
Ricercati ed apprezzati erano poi i pupari. Essi erano soliti affittare uno stanzone e impiantare un palcoscenico su cui, con grande abilità, facevano muovere e duellare le marionette: i pupi siciliani, protagonisti di storie che il più delle volte trattavano le vicende dei paladini di Francia, con l’immancabile Orlando che combatteva contro i Saraceni. I pupi sono espressione “splendente” di quello spirito epico, eroico e cavalleresco che segna lo sviluppo di un’educazione sentimentale e di una visione più etica e poetica del mondo. Ogni singola rappresentazione veniva preannunciata da un “cartello” con la scena principale e con una sintetica descrizione dell’intera storia; il commento musicale, quando c’era, era affidato a musicanti di mestiere (generalmente una chitarra, un violino o un mandolino) che, su indicazione estemporanea del “parlatore”, eseguivano brani in voga, veloci o lenti a seconda dell’azione scenica.
Occasionalmente ai pupari si accompagnava un’altra figura di intrattenitore recante una cassetta montata su un treppiedi con sopra un tubo in vetro riempito d’acqua. Vi galleggiava un folletto in celluloide rossa che, su sollecitazione, scendeva in basso; contemporaneamente usciva dalla cassetta un foglio (a volte vi era un pappagallo addestrato ad estrarlo) contenente a preneta – una specie di oroscopo elaborato con riferimento ai movimenti dei corpi celesti, ma senza alcun legame alla data di nascita della persona. Serviva a pronosticare gli eventi che avrebbero accompagnato la vita dell’ingenuo fruitore. Si trattava in realtà di un singolare congegno che funzionava secondo i principi del “diavoletto di Cartesio”, uno strumento di misurazione della pressione dei liquidi inventato attorno alla metà del ‘600, in seguito attribuito al famoso filosofo e matematico francese René Descartes; al tempo era però uno strumento magico che faceva leva sull’ingenuità popolare e incuriosiva i più, inducendoli a comprare il foglietto per conoscere i segreti che il futuro riservava…
Curato dal volontario SCU Nunzio Lupica