A Bronte la Pasqua non è solo una celebrazione religiosa: è l’anima stessa del paese che si rivela, intensa e autentica in ogni gesto, in ogni rito, in ogni volto. È la Settimana Santa a scandire i giorni con una solennità che attraversa le generazioni, capace di unire la comunità in un silenzioso ma potente sentimento di appartenenza.

I rintocchi delle campane, le processioni che si snodano lente tra le strade, i simulacri portati a spalla dai fedeli di tutte le età, i canti che risuonano tra le mura delle chiese: tutto parla di una fede che non si è mai affievolita, di un popolo che custodisce con amore la memoria delle proprie radici. Il Venerdì Santo, in particolare, è un momento che segna profondamente l’animo dei brontesi: il paese si ferma, avvolto da una commozione che si respira nell’aria, nei volti segnati dalla devozione, nei passi che seguono il Cristo Morto con rispettoso silenzio. E poi arriva la luce della domenica, la messa di Pasqua, affollata come poche altre volte nell’anno, con le famiglie vestite a festa, gli abbracci che si intrecciano tra le navate, il profumo dell’incenso e delle stagioni che cambiano. È un momento di rinascita, non solo spirituale, ma anche comunitaria: perché in quel giorno Bronte si ritrova, si riconosce e si rinnova.

 

In questo articolo ho voluto dare voce a quei ricordi che rendono la Pasqua a Bronte un patrimonio affettivo, oltre che culturale. Lo faccio attraverso le parole di mia zia, la signora Tina Uccellatore, che ci racconta le Pasque della sua infanzia: un tempo lontano ma ancora vivo, fatto di riti, sapori e sentimenti che ancora ci appartengono profondamente.

 

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N: “Buonasera signora Tina e grazie di cuore, a nome mio e di tutta la Pro Loco, per averci accolti qui nella sua casa. Si metta comoda, come se stessimo facendo una chiacchierata tra parenti davanti a un caffè… Perché in fondo è proprio così! Vorrei iniziare con una domanda semplice ma significativa: se dovesse raccontare attraverso un ricordo-immagine le feste di Pasqua della sua infanzia ai giovani di oggi, quale sarebbe il primo che le viene in mente?”

Tina: “La prima immagine che mi sovviene è la Pasqua in casa di mia mamma. Era un momento speciale: si aspettava l’arrivo dei nonni, si preparava la pasta fresca. C’era un’atmosfera piena di movimento, di profumi, di attese belle. E tutto aveva un sapore diverso, più autentico, perché in quei giorni la casa, la famiglia, le tradizioni erano al centro di tutto.

Fin da piccola ho imparato le faccende, la cucina, ogni cosa. A volte dico che oggi, a sessant’anni, mi sento come se ne avessi ottanta — ma lo rivendico con orgoglio, eh! Perché mi sono sempre data da fare, da quando ero bambina. Mia mamma, Venerina, era disabile, e per questo era importante che io sapessi cavarmela, che la aiutassi. E così ho fatto, senza mai tirarmi indietro.

Voglio dire ai giovani di oggi: non dimenticate mai la forza che c’è nel legame con la casa e la famiglia. La tradizione non va persa. È quella che ci tiene insieme, che ci dà radici. Ogni gesto che facciamo, ogni piatto che prepariamo, racconta qualcosa di chi siamo e da dove veniamo. Non lasciate che tutto questo svanisca!”

N: “Riflettendo su quanto ci racconta e sull’importanza di questi ricordi che segnano un legame profondo con il passato, mi chiedevo: in che modo la preparazione della Pasqua un tempo si distingueva da quella di oggi? E guardando alla Settimana Santa, quali cambiamenti ha notato sia nella liturgia che nelle tradizioni folkloristiche, da sempre così vive nella nostra realtà?”

Tina: “Un tempo la Pasqua veniva vissuta in modo più profondo, più sentito. La religiosità e le tradizioni non erano mai separate dalla vita quotidiana, ma permeavano ogni momento. Era un tempo di silenzio e raccoglimento, in cui la festa non aveva l’aspetto rumoroso di oggi. Non si sentiva musica, né chiasso per le strade. Perfino i giovani la vivevano con un rispetto che oggi sembra quasi dissolversi.

Nella processione del Venerdì Santo di un tempo la banda non c’era. Dietro la vara della Madonna sfilavano invece i cantori, che intonavano le litanie funebri in dialetto brontese. Le parole non sempre erano chiare, ma il loro lamento, il tono profondo della voce e la malinconica musicalità della lingua toccavano l’anima nell’intimo.

L’incontro delle statue, che oggi è comunque molto suggestivo, allora era ancor più emozionante. Si teneva dentro la Chiesa Madre, in un’atmosfera drammatica che ci avvolgeva tutti. La mia nonna paterna, Biagia, mi ci portava a vederlo e mi metteva a sedere su una colonna, così potevo assistere all’evento senza essere schiacciata dalla folla. Ancora oggi, da adulta e sposata, seguo con fervore la processione, portando avanti un voto che mi lega a vita alla vara del crocifisso.

Il Sabato Santo era poi un momento speciale. Si andava a messa con i genitori e noi bambini aspettavamo con gioia l’arrivo della mezzanotte, scoprendo la statua del Cristo Risorto e abbracciandoci tutti, uniti nella gioia. Sapete, in questi giorni recito la preghiera che mia nonna Illuminata mi ha insegnato. È in dialetto brontese, e con mia zia l’abbiamo trascritta per conservarla. Ve la leggo, perché non voglio che vada persa:

 

Preghiera a Gesù Crocifisso:

Geszù crucifissu, ruci miu bbeni, stampati ‘ndo me cori i vostri Santi peni.

Vi pregu, Geszù bonu,

pi la vostra passione ratici peddonu, pi li chiàghi chi suffristi,

Geszù miu, cu tantu amuri e cu tantu gran dururi.

Pietà i natri, divinissimu Crucifissu, m’inginocchiu ravanti a Vui.

Pi lu sangu chi spaggistivu, lu spaggistivu pi natri piccaturi.

Misericoddia Signuri.”

 

 

N: “La ringrazio davvero per aver condiviso con noi questa preziosa testimonianza e per averci trasmesso la preghiera in dialetto brontese, un regalo che arricchisce non solo questo racconto ma anche la nostra memoria collettiva. Ma passiamo alla cucina, che è da sempre il suo regno. Non possiamo non parlare delle sue cullure, un piatto che la vede indiscussa maestra. Purtroppo oggi questa tradizione culinaria non è più diffusa come un tempo. Lei vede ancora nei giovani l’interesse a imparare come si preparano? Conosce qualcuno che si dedica alla preparazione di questo “dolce” tanto caro alla nostra tradizione?”

Tina: “Purtroppo non conosco giovani che preparano le cullure, ma sicuramente ci sono molte persone che, come me, ancora oggi si dedicano a fare i dolci pasquali. Io li preparo da sola, con la stessa passione di un tempo. Sulla mia tavola non possono mancare i coszarùci, – cuori di pasta di mandorla con la glassa di zucchero -, le pastisecche, quei biscotti al latte che hanno un sapore unico, e le paste alla mandorla e al pistacchio, che sono un richiamo anche attuale alla nostra cucina.”

N: “Fra tutti i dolci che ha elencato, la cullura sembra davvero essere la protagonista indiscussa della Pasqua nostrana. Mi piacerebbe sapere: qual è il significato di questo dolce nella cultura brontese? E quando ha imparato a prepararle? Chi gliele ha insegnate? C’era un giorno particolare dedicato alla preparazione delle cullure? E quando venivano consumate?”

Tina: “Da bambina, ho appreso l’arte della cullura dalla mia nonna materna. Le mie sorelle partecipavano, ma devo ammettere che sono stata proprio io quella che ha abbracciato con più passione questa tradizione. Ero l’allieva più entusiasta, quella che ha voluto conoscere ogni dettaglio. E non era solo una questione di ricetta, ma di amore, di legame profondo con la mia famiglia e con la tradizione di Bronte. Ricordo di averle preparate una volta anche in casa di mia suocera, Felicia; sono momenti che uniscono le famiglie, che fanno sentire il calore degli affetti. La devozione che ho messo in questo mestiere mi ha accompagnata nel tempo, e sono determinata a portarla avanti finché avrò vita.

Le cullure venivano cucinate in un giorno qualsiasi della Settimana Santa, senza una data fissa. Oggi ne faccio circa 60, tra quelle di pasta di pane, di biscotto e di

pastisecche; ma quando ero piccola da mia nonna se ne preparavano molte di più, circa 150, la maggior parte in pasta di pane. Chi le confezionava lo faceva per la propria famiglia, per i nipoti, per figliocci e vicini di casa, come gesto d’affetto che andava ben oltre il semplice dolce. Ogni cullura, infatti assumeva una forma particolare a seconda di chi la riceveva: alcune contenevano due o tre uova, come un segno di particolare attenzione e affetto verso il ricevente.

Il lunedì di Pasqua era il giorno in cui si assaporavano, mentre quelle rimaste venivano conservate con cura, come un tesoro prezioso: allora infatti non c’erano i dolci di oggi, e le cullure erano un vero lusso, un dono che racchiudeva l’essenza stessa della Pasqua e che noi ragazzi adoravamo mangiare nelle settimane a venire con un piacere che andava oltre il gusto, perché portava con sé il ricordo di quei giorni speciali.

L’impasto veniva modellato dando forma a dei simboli pasquali: la pollastrella, la palma, l’agnellino. Ciascuna di queste forme rappresentava un messaggio di rinascita, di speranza, che si rifletteva nell’intera festività.”

N: “Dunque, c’è qualche segreto nella sua ricetta? O possiamo dire che è tutto merito della sua magia in cucina?”

Tina: “Niente magia, adesso vi mostro il procedimento. Il vero segreto sta nell’amore per la cucina semplice e nella passione per quello che si fa. Questa passione non mancherà mai nella mia casa! Ora venite, avvicinatevi alla tavola e impastiamo insieme…”

 

 

*** VIDEORICETTA ***

 

Grazie zia Tina, per la tua generosità e per la serietà con cui ti sei resa disponibile, permettendoci di aprire una finestra su questo pezzo di storia viva della nostra comunità. Il tuo amore per quello che fai traspare in ogni parola e in ogni gesto; ci hai donato la possibilità di arricchire il nostro legame con le radici delle tradizioni brontesi, e per questo ti siamo profondamente grati.

Grazie Chiara, per aver saputo immortalare con pazienza ogni momento dell’intervista (soprattutto quando la zia non stava mai ferma) e per aver realizzato la videoricetta delle cullure, donando a questo articolo la cura e le attenzioni che da sempre dimostri per la nostra associazione.

A tutti i lettori del nostro sito, auguro una buona Settimana Santa brontese e una buona Pasqua di tradizione e riflessione sul valore delle memorie, che rafforzano la nostra identità tengono viva la nostra comunità.

 

 

 

Scritto dal volontario Nunzio Lupica

Grafica, riprese e montaggio a cura della volontaria Chiara Zermo