L’8 maggio non è solo una data sul calendario: è il giorno in cui, nel 1945, la Seconda Guerra Mondiale finì ufficialmente in Europa. Dopo sei anni di un conflitto che ha cambiato il mondo, la resa della Germania segnò la fine delle ostilità nel continente. Quel giorno, passato alla storia come Victory in Europe Day, fu un sospiro di sollievo per milioni di persone.
A distanza di quasi ottant’anni, anche a Bronte sentiamo ancora il bisogno di ricordare. E lo facciamo nel modo più vero: ascoltando chi c’era.
Qualche giorno fa io e Chiara siamo stati accolti con grande calore dalla signora Nunziata Bonanno, una dolcissima brontese di 103 anni che, con occhi pieni di lucidità e dolcezza, ci ha aperto la porta della sua casa e del suo passato. Ci ha raccontato com’era la vita durante la guerra, cosa significava vivere quei giorni di paura, di attesa, ma anche di forza e speranza.
Intorno a lei, seduti in salotto, c’erano i suoi figli — Maria, Nunziatina, Vincenza, Antonio, Salvatore e Giuseppe — a sorriderle, a darle la mano quando la voce si faceva più bassa, e a completare con piccoli ricordi i momenti che sfuggivano alla sua memoria. È stato un pomeriggio intimo, intenso, che ci ha lasciati con il cuore pieno.
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N: “Signora Nunziata, grazie di cuore, a nome mio e dell’associazione, per averci accolti con tanta generosità e per aver condiviso con noi i fili della sua memoria. È un privilegio raro poter entrare in contatto con i ricordi di chi ha attraversato la guerra con i propri occhi e il proprio cuore. Ci racconta quanti anni aveva quando ebbe inizio? E quanto vivono ancora dentro di lei quei giorni lontani?”
Signora Nunziata Bonanno: “Avevo diciott’anni. Da poco avevo lasciato la casa dei miei genitori, anche se abitavo sempre vicino a loro. Ero la prima di otto figli. I miei fratellini erano ancora piccoli e nessuno di loro è partito per la guerra. Le donne, invece, erano tutte in paese: ci aiutavamo come potevamo, un po’ ciascuna.”
La signora Nunziata ci racconta che si era appena sposata. Era andata a vivere con il marito Gaetano Lombardo in una casetta della via Tolstoj, lungo una stradina stretta e pavimentata di baràte, quelle pietre scure che ancora oggi raccontano il passato. Ma quel piccolo nido, costruito con amore e sacrificio, dovette lasciarlo negli anni della guerra. Con lei c’era la sua bambina, Grazia, che oggi purtroppo non c’è più.
Signora Nunziata Bonanno: “Gaetano era partito per la guerra. E io… Io ricordo i fascisti in giro per il centro, con le divise, le armi. Le strade di Bronte erano silenziose, spettrali. Tante case chiuse, tanta gente fuggita in campagna. Si andava a gruppi, ci si nascondeva come si poteva. Per mangiare si cercava quello che la terra offriva da sola, e quando qualcuno stava male… Non c’erano medicine. Nessuno ne aveva. Solo il dottore Zappia: lui aiutava tutti, pure chi non poteva pagare.”
Bronte era un paese lacerato, come se la guerra avesse inciso la sua pietra viva con mani brutali. Le strade, un tempo intrise di polvere e voci, si stendevano deserte sotto un cielo greve, attraversate da un silenzio che pesava quanto il fumo dei bombardamenti passati. Le case portavano addosso le cicatrici del conflitto: tetti sventrati, muri crivellati, porte divelte che oscillavano al vento come bocche senza più parole. Le insegne dei negozi pendevano storte, come se anche la speranza avesse lasciato il paese. La polvere copriva ogni cosa. Dai vicoli saliva un odore acre di terra bruciata e calce, mescolato a quello, più sottile, della cenere che l’Etna, silenziosa sentinella, lasciava cadere ogni tanto come una benedizione stanca. Bronte non si muoveva, ma respirava a fatica, come chi cerca di ricordarsi com’era prima di essere dimenticato.
N: “In quei momenti così duri aveva accanto qualcuno? Ricorda persone care che ha perso a causa della guerra?”
Signora Nunziata Bonanno: “C’era mia cognata, ci aiutavamo in tutto. Lei abitava proprio vicino alla casa dove io vivevo con mio marito dopo le nozze. È morta insieme ai suoi figlioletti, tutti colpiti da una bomba caduta sulla loro casa. Non li dimenticherò mai…”
La sua voce si fa più bassa. Poi si illumina un po’, parlando della sua amica del cuore.
Signora Nunziata Bonanno: “Come me era senza il marito, pure lui partito per la guerra. Insieme ogni giorno andavamo alla stazione. Speravamo di vederli tornare, perciò aspettavamo che tutti i reduci scendessero dai vagoni. Ma quasi sempre rientravamo a casa da sole…”
N: “E la vostra storia d’amore? Come si affronta una separazione così lunga, così rischiosa? Cosa sentiva nel cuore mentre attendeva il signor Gaetano?”
Signora Nunziata Bonanno: “Quando è iniziata la guerra, io ero incinta. Pochi mesi dopo la partenza di Gaetano è nata la nostra prima figlioletta. Allora lui scappò dall’esercito solo per vederla. Venne a casa di nascosto, ma lo trovarono e lo riportarono a combattere. Non lo punirono, capirono che era tornato per amore. Sei anni è stato via, in mezzo alle battaglie… Una volta fu costretto persino a nascondersi in Grecia; la nave su cui aveva viaggiato venne affondata poco dopo che ne era fuggito. Si salvò, ma lo cercavano. Alla fine fece ritorno. Non so come, ma tornò.”
Ogni parola è una lama e una carezza insieme, l’amore che sfida la guerra. Stiamo in silenzio, quasi in punta di piedi, davanti a questo racconto.
N: “Quando la guerra finì, cosa restava di Bronte? Come appariva il paese all’indomani del conflitto e cosa portavate nel cuore dopo il passaggio della tempesta?”
Signora Nunziata Bonanno: “Bronte era distrutta. Case diroccate, famiglie in lutto. Ma c’era anche tanta voglia di vivere, di ricominciare. Tornai in casa con Gaetano, poi con i soldi della guerra ne comprammo un’altra nuova. Era il tempo della ricostruzione, dentro e fuori…”
N: “Signora, lei che la guerra l’ha vissuta davvero, che cosa ne pensa del mondo di oggi, così spesso distratto, diviso e pronto a farsi violenza per cose piccole? Cosa direbbe ai giovani e anche a chi governa?”
A questo punto la signora Nunziatina non risponde. Ci guarda con gli occhi lucidi. La sua età, così nobile e fragile insieme, le impone una pausa: è troppo stanca per trovare le forze di articolare un pensiero davanti a una domanda tanto profonda.
Con un filo di voce farfuglia: “Tanti figghitti nichi…”
Non erano solo parole che mancavano: era la forza di rivivere, ancora una volta, ciò che aveva già sofferto. E in quel dolore muto, avevamo letto il suo pensiero, limpido come un monito: che nulla è più prezioso della pace, quando hai sperimentato la sua assenza.
Chissà cos’altro avrebbe voluto dirci. Forse un proverbio, forse una preghiera. Ma va bene quel silenzio; perché proprio il silenzio in quel momento ci è sembrato più potente di qualsiasi umana risposta. Io e Chiara le stringiamo le mani, l’abbracciamo e la ringraziamo teneramente, invitandola infine a riposare.
È la signora Rosi, nuora di Nunziatina, a distrarci con un sorriso gentile: ci invita a sederci a tavola per assaggiare una fetta della sua crostata alla marmellata, fatta in casa, profumata e deliziosa. Tra un morso e l’altro, ci racconta che segue sempre con affetto le pagine social della nostra associazione e che le piace leggere le storie del paese.
Il ricordo della guerra, con il suo carico di dolore e di silenzi, si allontana un po’, sfumando tra una risata condivisa e il sapore semplice di un dolce preparato con amore.
Salutiamo con gratitudine la padrona di casa che ci ha fatto dono della sua memoria e ringraziamo ancora una volta di vero cuore tutta la sua splendida famiglia per l’accoglienza, la disponibilità e l’affetto.
È stato, anche stavolta, un incontro che non dimenticheremo.
I volontari Nunzio Lupica e Chiara Zermo