Alluggiàti a sta Signura
chi già sta pi patturìri,
Vigginella e matri pura,
chista sira n’avi undi iri.
Pi pietati, oh bona genti!
Chi pena ohimè, chi gran turmenti!
[Viniti ndi mia – CANTO BRONTESE ALLA NOVENA]

 

 

Con questo articolo intendo raccontare e conservare una piccola parte delle antiche tradizioni brontesi in occasione del Natale, che ho raccolto intervistando i nonni di alcuni amici nelle loro case. E intendo anche rivolgervi i miei migliori auguri dopo questo primo round di festeggiamenti. Sappiate fermarvi e godere di ciò che avete, ma soprattutto del momento – che non sarà mai uguale a nessun altro in futuro: anche ciò che ho raccolto da queste chiacchierate un tempo sembrava abituale e intramontabile…

 

Intervista al sig. Gaetano Castiglione detto “Tanino”

Vengo accolto dal signor Gaetano Castiglione, che mi attende al caldo della sua stufetta elettrica in un garage che profuma di pistacchi essiccati e di tanti bei ricordi. Col suo savoir-faire da galantuomo cortese e chiacchierone non esita a farsi chiamare affettuosamente ‘Tanino’, lasciandomi adoperare senza indugio quel diminutivo con cui è noto a tutti quanti gli amici dell’antico quartiere di San Giovanni. Mentre mi accomodo, ci tiene anzitutto a presentarsi come primo tesoriere della nostra associazione, ai tempi di Petronaci presidente: Tanino infatti è un giovanotto di 90 anni e ci aiuta a ricostruire i Natali brontesi più remoti, quelli in cui da bambino viveva in casa coi suoi due fratelli, i genitori, la nonna materna e uno zio.

N: “Signor Tanino, grazie per avermi aperto le porte di casa sua. Nella sua infanzia come si predisponeva l’ambiente domestico alla festa? Quali decorazioni erano più diffuse e come vi adoperavate nell’allestimento?”

G: “Si era lontani dai fastosi addobbi che usiamo oggi: quella dell’albero è una tradizione nordica subentrata dalle nostre parti in tempi relativamente recenti, invece il presepe lo contemplavamo principalmente nelle Chiese. I più disponevano di un’edicola votiva che, in occasione delle festività natalizie, si provvedeva a incorniciare con una verga, adornata da foglie di vario tipo avvolte a spirale (vischio, pungitopo, ma soprattutto ‘a spàricia – l’asparago ornamentale). Gli accessori prediletti dai decoratori erano il cotone, le sorbe (pesche aspre perché non ancora mature), le arance e i mandarini, che possiamo considerare gli antenati delle moderne palline. L’interno del loculo veniva poi riempito di lìppu – ossia il muschio, che qualche giorno prima dell’inizio della novena i padri andavano a raccogliere nelle zone boschive della periferia brontese – ed era destinato ad accogliere la statuina del bambinello, dal 24 notte sino alla fine delle festività; era proprio lì che trovavamo i regali: non soldi, ma fichi, frutta di vario tipo e dolcetti fatti in casa. Mi ritorna in mente il padrino di mio papà, un produttore autonomo di frutta secca che ci donava delle squisite castagne, il mio regalo preferito di cui ricordo ancora l’odore e il sapore – per me il primo richiamo del Natale ormai alle porte.”

N: “Quali manifestazioni esterne ricorda in giro per le strade del paese? C’erano delle usanze o delle tradizioni che oggi non conosciamo più?”

G: “Mio padre era proprietario di una bottega di vino, un luogo di ritrovo noto a tutti come “da zia Micia” (diminutivo di ‘Domenica’, che era il nome della mia nonna paterna: una massaia tutta cuore, abile e veloce nell’impastare il pane a mano); c’era un continuo viavai di persone e nelle prime giornate di dicembre – più frequentemente da giorno 16 in poi, in occasione della novena appunto – veniva riscaldare l’atmosfera uno zampognaro con la sua ciaramella, uno strumento composto da canne flautine innestate in un’otre di pelle contenente aria. Per la vigilia, in prossimità della mezzanotte, i miei genitori e i vicini di casa concedevano delle offerte al bumbaru, che passando di porta in porta ci intratteneva con i suoi fuochi d’artificio. C’era anche Babbo Natale, con il suo caratteristico vestito rosso e una barba così folta che persino agli occhi di noi vispi ragazzetti d’altri tempi rendeva difficile scoprirne la reale identità. L’indomani assistevamo tutti con grande entusiasmo alla riproduzione della “Fuga in Egitto”, come raccontata nel vangelo di Matteo: lungo il Corso Umberto due giovani genitori impersonavano la Sacra Famiglia, travestendosi da Maria e Giuseppe e portando in braccio su un asino un brontesello nato entro l’anno – in ricordo della biblica fuga da Erode il Grande, che aveva indetto l’uccisione di tutti i bambini della zona per difendere il suo trono. La si sentiva molto questa ‘festa dei miracoli’… Tutto era poesia e sentimenti più veri.”

N: “Quali erano invece i preparativi domestici in vista delle principali giornate di festa?”

G: “Ricordo con grande tenerezza e nostalgia che mia madre si dedicava alla cucina nelle giornate del 25 dicembre e del 1 gennaio. Si andava a messa tutti insieme, raramente le donne uscivano senza la compagnia del padre, del marito o del resto della famiglia; a volte però gli uomini erano impegnati persino nella giornata festiva: mio padre, per esempio, accoglieva in bottega i clienti che non avevano fatto in tempo ad acquistare il vino per la loro tavola – raramente si provvedeva nei giorni precedenti ad acquistare tutto quanto il necessario, a differenza dei tempi odierni dove tutto viene calcolato con largo anticipo. La Befana ci regalava l’ultima festa del periodo natalizio. Purtroppo, come recita il proverbio “L’Epifania tute le feste si porta via”, e l’indomani si faceva ritorno alla vita di sempre.”

N: “La ringrazio per avermi consegnato tutte queste preziose memorie da lei custodite così attentamente e le rivolgo un’ultima domanda: lei ha vissuto molti Natali da figlio, altrettanti da padre e attualmente li trascorre tutti quanti da nonno; facendo un bilancio fra ciò che c’è e ciò che manca in ciascuno di essi – se dovesse sceglierne uno fra tutti, quale sarebbe il suo preferito?”

G: “Certamente ciascun Natale è specchio della sua annata, e quelle difficili non sono mai mancate. Nella mia infanzia ho avuto la fortuna di avere due genitori e uno zio che tutti conoscono – Ficarra, il direttore delle scuole del paese – che ci tenevano molto alla mia educazione, e quel senso del rispetto e riverenza verso i grandi valori è ciò di cui più sento la mancanza di questi tempi; adesso però c’è la mia bellissima moglie che è una casalinga perfetta: prepara una grande tavolata per tutte le giornate di festa e ricorda a memoria i gusti e i bisogni di ognuno. Poi ci sono i miei cari figli e nipoti, che suppliscono al resto riempiendomi la casa e il cuore…”

 

 

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Intervista alla sig.ra Antonina Gatto

Mi sposto nella casa della signora Antonina Gatto, per tutti la dolce Ninetta, che mi accoglie con la figlia e la nipote: tre generazioni in una sola stanza. In vista del nostro arrivo, nella sua casa all’ingresso del paese, Ninetta ha creato l’atmosfera giusta chiedendo il supporto delle due infallibili aiutanti: l’accogliente cucina è illuminata da una bella ghirlanda di pino, invasa di minilucciole e pupazzetti dal cappello rosso a punta; la tavola è stata apparecchiata come solo una mamma e nonna premurosa sa fare – ci sono delle buone tazze di caffè, i panitti  di Natale in una versione 2.0 (alla Nutella) e una sacca che profuma dei tradizionali fichi secchi. Ogni ringraziamento non basta di fronte ad un trattamento così caloroso! Mi accomodo: la signora Ninetta ha 71 anni, proveniente da una numerosa famiglia di cinque sorelle e un fratello, del ben noto quartiere Cazzira bo, di cui conserva molti teneri ricordi – alcuni dei quali sul Natale.

N: “Signora Ninetta, le sono grato per l’ospitalità. Nella sua casa d’origine come ci si preparava al periodo natalizio? Cosa facevano così tanti membri di uno stesso nucleo familiare per addobbare la casa?”

A: “Non disponevamo di molto, dovevamo reinventarci. Io personalmente andavo a selezionare un rametto abbastanza grande di pino fra quelli potati dalle guardie del corpo forestale (la cui sede era poco più sotto casa nostra), lo trasportavo dentro e lo sistemavo in un vasetto fra due quadri raffiguranti San Giuseppe e Sant’Antonio, simulando un vero e proprio abete natalizio; a seguire, mi dedicavo alla decorazione insieme alle mie sorelle: utilizzavamo il cotone, i mandarini e le arance. La sera ci ritrovavamo a pregare nei pressi di una piccola cappelletta tutt’ora esistente a metà della via Card. De Luca, dove veniva predisposto un piccolo presepe che noi ragazzini contemplavamo con grande meraviglia; era bello ritrovarsi insieme agli altri coetanei, ai loro genitori e agli anziani del quartiere per pregare tutti insieme Gesù Bambino. In tutto questo, mio fratello era assente perché si dedicava al lavoro nelle campagne e alla carriera militare – eravamo molto intraprendenti noi ragazze, la vera forza-lavoro della famiglia; devo molto a quella vita, che mi ha insegnato la delicatezza ma anche l’intraprendenza.”

N: “Ricorda di aver ricevuto regali? Se sì, cosa si era soliti scambiarsi?”

A: “Non c’era l’uso di fare regali. Tuttalpiù a noi figlie femmine le festività natalizie riservavano un vestito nuovo – se ce n’era la necessità – appositamente cucito in casa oppure confezionato dalla sarta, dove noi ragazze andavamo di tanto in tanto per apprendere i rudimenti di quell’arte. Per il resto, si ricevevano doni alimentari che preparavamo noi stessi grazie ai prodotti delle nostre terre: fichi secchi, mostarda e mostaccioli, uva passa, coszarùci, fillètti e nuvurètti, una rarità fuori da quelle giornate speciali. Mia madre ci ha trasmesso poi l’importanza del fare beneficenza, donando ciò che avevamo tra denaro e cibo a chi era meno fortunato di noi e bussava alla nostra porta; io a mia volta ho conservato questa buona abitudine insegnandola ai miei figli, che la praticano ancora soprattutto nel mese di dicembre.”

N: “Essendo una donnina tuttofare, si sarà impegnata molto nella cucina già in casa dei suoi. Quali erano i piatti tipici del Natale? Come si svolgeva la preparazione?”

A: “Per la vigilia della festa non si cucinava moltissimo: mangiavamo baccalà, noci e castagne; si andava a messa con le famiglie, oppure l’indomani mi ci potevo recare anche con le amiche. Nel giorno vero e proprio della festa invece si cucinava la carne di maiale che si era allevato per tempo e macellato appositamente: di primo mattino si preparavano diverse fritture, si imbandiva la tavola come un ricco buffet e si aspettavano i familiari convitati per cominciare ad assaggiare quelle pietanze già “a colazione”; per pranzo preparavamo in casa maccheroni e tagliatelle; la sera infine si tornava a consumare la carne rimasta. Al tempo della mia infanzia, si chiamavano in casa gli zii e tutti quanti i parenti più prossimi; quando ho messo su famiglia, trascorrevo il Natale nelle case delle mie sorelle maggiori con tutti quanti i miei figli e nipoti. La cucina è sempre stato un ambiente delicato sotto il periodo delle feste: il cibo preparato non si limitava a ciò che si poteva consumare in quei giorni, ma molte cose si predisponevano per il resto dell’anno, come le conserve e i cibi da essiccare (frutta, salame ecc.).”

N: “Fuori dalla casa, quali manifestazioni popolari ricorda? A quali di queste prendeva parte?”

A: “Ho memoria della bellezza della “Fuga in Egitto”, una manifestazione che andavo a osservare con grande curiosità a piazza Spedalieri insieme ai miei genitori e fratelli; e mi piaceva ascoltare le musiche della ciaramella, lo strumento dei pastori che scandivano le tappe più importanti del mese di dicembre girando per le strade con gilet e mantello alla ricerca di qualche offerta spontanea da parte di noi ascoltatori rincasati.”

N: “Grazie per la piacevole chiacchierata, signora Ninetta. Prima di andare via, anche a lei vorrei chiedere questo: fra i molti Natali vissuti, ritiene di poter esprimere una preferenza tra quelli da figlia, quelli da madre e quelli attuali da nonna?”

A: “I Natali degli ultimi anni sono indubbiamente i più belli e i più completi – Natale significa gioia, affetto e condivisione, cose che nella mia famiglia di certo abbondano; purtroppo però il Natale sa essere anche un periodo molto duro perché intensifica sul cuore il peso dell’assenza di chi non c’è più…”

 

Buone feste signor Tanino! Buone feste signora Ninetta!

Grazie per avermi arricchito con le memorie storiche sul nostro Natale, che in buona parte sconoscevo e che custodirò sempre con tutto l’amore che ho.

 

Curato dal volontario SCU Nunzio Lupica